Sono mesi, ormai, che ho abbandonato Apple Music e, appena avrò uno smartphone (o anche un player musicale) con abbastanza memoria da contenere la mia libreria musicale, probabilmente abbandonerò anche l’idea di avere la mia musica sul cloud. Il motivo è molto semplice: ascoltare musica è un’esperienza che voglio poter fare indipendentemente dalla copertura di rete o dal traffico dati residuo sul mio cellulare; mi è capitato troppo spesso di non poter ascoltare un brano perché le mie playlist erano ostaggio di un servizio in cloud che, per un motivo o per un altro, non sono accessibili in quel momento.

E poi, la mia musica…è MIA: non può essere un servizio, l’ennesimo che pago per avere ciò che ho già comprato.

Qualcuno una volta ha detto che

“alcune forme di progresso tendono a farti pagare ciò che è già tuo”

nulla di più vero.

La musica che mi piace: la scelgo, la compro e la voglio con me, da poter ascoltare quando voglio: non deve sceglierla per me l’app di running o un’app di streaming (mentre raccoglie i miei dati e mi propone pubblicità).

E neanche a farlo apposta, stamattina, leggo questo articolo: a quanto pare non sono il solo a fare certi pensieri 😉

 

Cosa penso dell’Apple Watch

Ok, nel profondo sapevo che non avrei resisitito e che quando ho visto la presentazione del Apple Watch il mio scetticismo iniziale ed il buon senso da neo papà (che prima di comprare un gadget tecnologico ha altre incombenze) avrebbero giusto un po’ rallentanto  la mia corsa alla scoperta di questo nuovo dispositivo. Lo sapevano i miei amici che, ovviamente, mi hanno preso in giro quando hanno visto la foto del mio Watch su Facebook, perché come spesso accade, mi faccio un’idea, poi rimescolo tutto quanto e magari mi ritrovo a dire o fare il contrario 🙂

Prima di raccontarvi la mia esperienza con l’Apple Watch (che ho al polso da meno di una settimana), vorrei suggerirvi quello che secondo me è il miglior articolo sul Watch in giro per la rete ed, ovviamente, è un articolo di Wired USA:

http://www.wired.com/2015/04/the-apple-watch/

In rete sul Watch, ormai, c’è di tutto: chi la vuole cotta e chi la vuole cruda, chi dice che costa troppo (e su questo non posso che essere d’accordo), che non avendo il GPS e non essendo water proof (ma solo water resistant), non può esser definito uno smartwatch. C’è chi si lamenta del fatto che in watchOS 1.0.1 abbiano ridotto la frequenza di lettura del battito cardiaco durante l’utilizzo normale e non gli va bene perché vorrebbero avere il cardiofrequenzimetro attivo anche quando non si fa attività sportiva…insomma, in questi mesi ho letto veramente di tutto ma nessun articolo è riuscito ad inquadrare, almeno secondo me, quello che il Watch “rischia” di portare nelle nostre vite digital addicted : una minore dipendenza da smartphone.

Sì perché se prima avevo l’iPhone costantemente incollato alla mia mano destra, ora ho l’iPhone sparso da qualche parte in casa o in ufficio e il Watch al polso: “embé, sempre un device incollato addosso, no ?!”

Più o meno: l’orologio è un device che non deve catturare l’attenzione di chi lo indossa, non deve servire a fare tutto ciò che ormai facciamo con uno smartphone, non dobbiamo rincorrere a cercare su una scrivania o in una borsa…e magari non ci terrà incollati a fissare il polso come invece spesso accade con lo smartphone: qualche settimana fa ero a cena con Angela e non abbiamo potuto fare a meno di notare che agli altri tavoli c’erano sì persone ma tra loro c’erano degli smartphone, ormai talmente grossi e vistosi che avrebbero dovuto apparecchiare anche per loro 😐 …una tristezza!

E questa è la sintesi di quanto il Watch abbia davvero iniziato a cambiare le mie abitudini: ormai lo smartphone lo uso raramente, solo quando devo fare qualcosa che richiede di dover scrivere, cercare in rete, e così via. Tutto il tempo che ognuo di noi passa a guardare lo smartphone per leggere notifiche, per controllare se ci siano chiamate perse, per vedere che ora è o, addirittura, per la sola malsana abitudine di avere lo smartphone in mano (non sia mai ci perdiamo una delle cose appena descritte), con il Watch è tempo recuperato: se arriva una chiamata o ci sono notifiche, ti avvisa lui in maniera discreta e con un rapido sguardo al polso la questione è risolta 😉

L’ Apple Watch ha inoltre, un eccezionale cardiofrequenzimentro: in rete si trovano anche approfondite analisi comparative con prodotti specifici per la misurazione del battito in ambito sportivo e pare che il Watch sia veramente molto preciso.
Ovviamente, se lo sport non interessa, ci si perde una delle più importanti feature di questo dispositivo e, oggettivamente, il Watch in questo caso perde una grossa fetta del suo appeal: io è da anni che non pratico sport in maniera costante ma, come ho imparato ormai anni fa alle prime lezioni di Spinning, diventa fondamentale usare un cardio soprattutto quando lo sport non lo si pratica costantemente.

Per quanto mi riguarda, è in ambito sportivo che l’Apple Watch va veramente alla grande: le misurazioni sono precise (confrontate con il mio storico cardiofrequenzimetro Polar, c’è uno scostamento intorno al 5%), tra l’altro la fascia addominale Polar potrebbe spostarsi più facilmente di quanto non si sposti, invece, il Watch indossato con la giusta aderenza.

Inoltre il Watch, sebbene non abbia il gps, riesce ad essere moltro preciso nel calcolo della distanza percorsa: basta fare 20min di calibrazione (ad es andando a correre con l’iPhone la prima volta) e, dalla volta successiva, il telefono può anche restare a casa: io ho iniziato a correre misurando la distanza da sotto casa, dopo 20min esatti ho messo l’iPhone in modalità aeroplano e son tornato indietro. Ad 1m dal cancello di casa il Watch segnava la stessa distanza percorsa all’andata: se non è precisione questa ?! 🙂

Ma non c’è solo questo: con quello che costa l’Apple Watch ci si potrebbe regalare il miglior cardiofrequenzimentro in circolazione spendendo la metà.

È un dispositivo fondamentale ? Assolutamente no, se ci pensiamo anche lo smartphone non lo è, ma quanto siamo diventati dipendenti da quest’ultimo ?

Quello che mi ha colpito del Watch, però, è sì l’ambizione a distogliere la nostra attenzione dallo smartphone, come sapientemente raccontanto nell’articolo di Wired che ho riportato sopra ma soprattutto come si sia arrivati ad un prodotto come questo: pare che il team di sviluppo del Watch abbia lavorato un po’ come il team Macintosh ai tempi,  realizzando secondo me qualcosa che in un certo senso va a rompere uno schema (quello di interazione con i vari strumenti di comunicazione che questa era ci offre), ci allontana dallo smartphone e dalla ormai invadente presenza degli iDevices (sarà un caso che l’Apple Watch non si chiama iWatch ?!) e poi, realizzare un’esperienza utente completamente nuova, re-inventare l’utilizzo della corona dell’orologio in una interfaccia di un dispositivo estremamente digitale, disegnare un nuovo font ed il comportamento del’aptic engine con cui il Watch ti fa sentire le notifiche attraverso uno dei sensi che per la prima volta assume una valenza completmanete nuova (il tatto: dove se non in un dispositivo indossato).

Insomma, ora come ora a me l’Apple Watch affascina quanto il primo iPhone: ok, probabilmente anche il livello di maturazione di questo Apple Watch è paragonabile al primo iPhone: molte cose vanno migliorate e, fortunatamente, molto dipenderà dal software.
Sicuramente le prossime versioni lo renderanno un oggetto più sottile, più potente, magari impermeabile, ma ciò su cui mi aspetto Apple si spinga ancora oltre è l’esperienza utente e quindi come il software sfrutta i sensori ed il display del device: se ci pensate, ai tempi del primo iPhone non esisteva l’app store: ora sembrerebbe assurdo avere uno smartphone senza la possibilità di scaricare delle app…eppure abbiamo sviluppato questa esigenza solo dopo aver utilizzato per più di un anno un oggetto che abbiamo imparato ad utilizzare in quanto privo di tastiera fisica (ricordo il motto “the touch is the new click“).

Sarà che di questo mondo (quello digitale, intendo) mi affascina più di ogni altro aspetto il rapporto uomo-macchina ma è proprio su questo aspetto che Apple, almeno per quanto mi riguarda, non ha deluso le (mie) aspettative: oggi ho al polso qualcosa che si spinge ancora oltre le abitudini consolidate dai dispositivi che utilizziamo ed è qualcosa che l’uomo già conosce, non dobbiamo imparare nuovi paradigmi di interazione e forse riuscirà pure a farci riprendere parte del nostro tempo; persino Siri sul Watch è più disinvolta rispetto al passato: spesso mi diverto a chiederle che ore sono e, nonostante le sue battute siano soprattutto nerd, quasi traspare una personalità degna di un romanzo di Asimov: “Liar!”, ad esempio…che se non avete letto e amate il genere, vi suggerisco fortemente!

ciao 😉

Musica in streaming: siamo davvero pronti ?

È da un po’ che gli articoli su Wired Italia non mi fanno impazzire, così – di tanto in tanto  – faccio un salto su Wired.com e, tra i vari articoli, ne trovo uno che condivido, in tutti i sensi 🙂

http://www.wired.com/2015/07/streaming-music-offline-problem/

Gira e gira, il problema è sempre lo stesso: la copertura della rete dati, i costi ed i limiti.
Spotify, Rdio e Deezer (ed ora anche Apple Music) provocano in me una duplice reazione: da un lato apprezzo la possibilità di avere a portata di mano tantissima musica, al pari di altri servizi a pagamento ne riconosco il valore e sono disposto a pagare un costo mensile (neanche altissimo, a fronte della quantità di musica che ascolto) ma appena inizi a prenderci la mano e pensi di poter dematerializzare anche la musica sul tuo smartphone per ascoltarla in streaming, ecco l’atra reazione: frustrazione, perché nel frattempo hai consumato i GB del tuo piano tariffario, pagati a peso d’oro poi  😐

In questi casi è difficile capire se abbiano peccato di ingenuità coloro che hanno immaginato questi servizi, dimenticando che anche negli States il traffico dati non lo regalano o, come credo, siano più ingenui i gestori delle reti dati a non capire che lo streaming dei contenuti è un affare anche per loro: tempo fa ho letto che la sola Netflix, in USA, produce in alcune fasce orarie oltre il 30% di tutto il traffico dati presente in quelle ore, negli States.

Perché è così difficile capire che le limitazioni producono frustrazione mentre, a fronte di un servizio illimitato, gli utenti di fatto saranno disposti a pagare anche di più ed utilizzare in maniera corretta anche una connessione dati ?!

Dopo anni di tariffa urbana a tempo, scatto alla risposta ed altre amenità da anni 90 (che adoro, invece, per altri aspetti 😉 ), quanti utenti al giorno d’oggi non hanno una flat per le chiamate, ad esempio ?!

Per carità, anch’io ricordo alcune estati in cui la mitica summer card quasi ti invogliava a chiamare chiunque, purché quel traffico non andasse perso…ma erano anche altri tempi, era una novità, la reazione – appunto – ad una condizione in cui, normalemte, appena l’altro rispondeva alla tua telefonata, avevi già consumato credito.

Qualcuno pensa che l’essere connessi sia quasi un diritto, sicuramente è un bisogno e, in quanto tale, ha un mercato: mi auguro lo capiscano in tanti così da poter fare un passo in avanti, buttandoci alle spalle l’ennesimo ed ormai anacronistico limite alla comunicazione.

…e detto ciò, vado a fare una ricarica per dei GB extra 😀
ciao

 

L’amara tazzulella di…Java :)

In questi giorni sto provando New Relic (che, per chi non lo conoscesse, è un ottimo servizio di monitoraggio sia server che applicativo).

Una delle caratteristiche che adoro di New Relic sono i plugin che permettono di aggiungere metriche a quelle preesistenti per monitorare ulteriori servizi/applicazioni (ad es. MySQL).

Proprio nella ricerca di un plugin per MySQL, vado nella sezione plugins e trovo – forse – quello che stavo cercando…se non fosse per i commenti 😀

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Non vorrei sembrare fazioso (ma tanto, a qualcuno da fastidio anche il mio abuso di emoticon e puntini sospensivi… :D), ma quando ho visto i commenti al plugin non ho potuto fare a meno di condividerli.

Allora non sono il solo che pensa che nel 2015 Java abbia fatto il suo tempo ?!

Credo che se Java è ancora in circolazione, il merito è di Android che in qualche modo lo tiene ancora in vita, ma quanto può durare se persino l’Objective C viene rimpiazzato da un linguaggio come Swift (tremendamente attuale)!

Il web è cambiato e con esso i linguaggi di sviluppo: ormai con NodeJS, ad es, si scrivono applicazioni potentissime che girano anche su cpu da pochi euro!

Stesso discorso sulla persistenza dei dati e i web service: nei giorni scorsi ho dovuto lottare per l’ennesima volta con dei ws SOAP…ma anche qui: nel 2015 ancora SOAP ???? Ma ci vogliono 10min a tirare sù un ws rest in python o in nodejs!!! 🙂

Vabbè che “ciò che funziona non si cambia”, ma ci sono anche cose che funzionano meglio e richiedono una frazione dello sforzo richiesto da tecnologie che, se hanno 10 anni nel settore IT, è come se ne avessero 200 in altri ambiti!

Ok, ciao 🙂

Vi presento la tukuONE

Eccola! Il risultato di mesi di lavoro con il cad, prove ed errori…ma nel (ormai) lontano Settembre 2014, questa è la prima scheda che integra il software di tukutuku

Si tratta di uno smart relay ovvero un interruttore controllato con l’app o dal sito web di tukutuku.

La scheda è larga 4.5cm e integra, oltre al relè (l’interruttore) ed il modulo wifi (sul retro della scheda, basato su Atheros 9331 – SoC Linux):

  • led di stato
  • modulo Bluetooth Low Energy per l’utilizzo dei controlli di prossimità grazie al protocollo iBeacon (ad esempio, per accendere/spegnere il dispositivo/elettrodomestico collegato al relè avvicinandosi/allontanandosi con lo smartphone)
  • sensore di corrente per la lettura della potenza assorbita dal dispositivo/elettrodomestico collegato al relè
  • cpu ATTiny84 programmabile (una sorta di Arduino con meno porte ma ugualmente programmabile)
  • alimentazione mediante porta miniUSB

Questa scheda è quella presentata alla Maker Faire 2014 e, ovviamente, nel frattempo è stata evoluta e miniaturizzata…ma è la prima ad integrare tukutuku …e pertanto meritava una menzione speciale sul mio blog 😉

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Qui la vedete in funzione, in una teca di plexyglass che alimenta una ipotetica TV 🙂